Guardando questi cuccioli di nutria (Myocastor coypus), si potrebbe pensare che siano semplicemente graziosi e innocui. Tuttavia, dietro la loro immagine si nasconde una storia complessa e un impatto significativo sugli ecosistemi e sull'agricoltura. La nutria è una specie originaria del Sud America, introdotta in Europa e in altre parti del mondo durante il secolo scorso per l’allevamento delle rinomate pellicce di castorino, molto richieste fino agli anni ’60-’70. Quando il mercato delle pellicce è andato in declino, molte nutrie sono fuggite o sono state liberate dagli allevamenti, trovando nell’ambiente europeo condizioni ideali per proliferare. Così è diventata una delle specie invasive più problematiche. Una curiosità sulla variabilità del mantello Un aspetto interessante della nutria è la grande varietà di colori del suo mantello, che può variare dal classico marrone-bruno al nero, ambra-oro, bianco-albino e persino grigiastro. Questa diversità cromatica è il risultato delle selezioni genetiche effettuate per soddisfare le richieste del mercato delle pellicce. Problemi ecologici e agricoli L’impatto della nutria si manifesta su più livelli:
In Sud America è una risorsa alimentare
Nel loro paese d’origine, la nutria è considerata una risorsa alimentare prelibata. Anche in Italia, durante il periodo degli allevamenti, si puntava a sfruttarla come doppia fonte di guadagno: pelliccia e carne.
Il lupo come nuovo predatore
Negli ultimi anni, in pianura, dove la nutria è maggiormente diffusa, si sta osservando un fenomeno interessante. Un predatore naturale, il lupo, ha iniziato a includere la nutria nella sua dieta, rappresentando un elemento di controllo naturale.
La storia della nutria è un esempio di come l’introduzione di specie esotiche per scopi economici possa generare conseguenze ecologiche e sociali di vasta portata. Questo tema offre spunti di riflessione non solo sulla gestione delle specie invasive, ma anche sulla responsabilità che abbiamo nei confronti degli ecosistemi che ci circondano.
Testo e foto di:
© Davide Zanin | Reporter della Natura